
L’équipe di Urologia di Aosta vola a Washington!
Due nuove soluzioni chirurgiche nate ad Aosta e presentate al congresso mondiale di Andrologia a Washington DC
Siamo partiti da Aosta con una valigia piena di entusiasmo, esperienza e un pizzico d’orgoglio, diretti verso una delle capitali della scienza medica mondiale: Washington D.C. Non era solo un viaggio, ma una tappa importante di un percorso che ci ha visti impegnati per anni a cercare soluzioni concrete e innovative per migliorare la qualità della vita di tanti uomini colpiti da disturbi gravi, spesso invalidanti, come l’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile. Il congresso mondiale di andrologia ASA-ICA, che riunisce i maggiori esperti del settore, era l’occasione perfetta per portare fuori dai confini regionali e nazionali il lavoro che quotidianamente si svolge nella Struttura Complessa di Urologia della Valle d’Aosta. È qui che abbiamo ideato e sviluppato due tecniche chirurgiche completamente nuove, che non solo rappresentano un’innovazione tecnica, ma che nascono soprattutto dal desiderio di rendere le cure più efficaci, sicure e accessibili per i nostri pazienti.
Al congresso abbiamo presentato due abstract che raccontano proprio questo: la nostra esperienza con la tecnica AUSTA 1500 e il posizionamento ectopico del serbatoio nella loggia renale. Dietro questi nomi un po’ complicati, si nasconde in realtà qualcosa di molto semplice: il tentativo, concreto e riuscito, di rendere più umana la chirurgia, più personalizzata, più adatta alle storie complesse di quei pazienti che spesso si trovano a convivere con le conseguenze di tumori, interventi demolitivi e anni di sofferenze. Ecco perché questo racconto non vuole essere un’esposizione tecnica, ma piuttosto la narrazione di un percorso che parte dai bisogni delle persone e si traduce in soluzioni concrete, rese possibili grazie al lavoro di un’équipe affiatata e alla capacità di osservare il problema da un altro punto di vista.
La tecnica AUSTA 1500 è nata da un’intuizione semplice ma potente: unire due approcci chirurgici tradizionalmente separati in un unico intervento combinato. Quando un uomo perde la capacità di controllare l’urina, ad esempio dopo un intervento per tumore alla prostata, e contemporaneamente non riesce più ad avere un’erezione, può aver bisogno di due dispositivi: uno sfintere artificiale per contenere l’urina e una protesi peniena per ripristinare la funzione sessuale. Fino a ieri, questi due dispositivi venivano impiantati in momenti diversi o attraverso accessi distinti, con tutte le difficoltà che questo comporta: tempi chirurgici più lunghi, maggiori rischi, recuperi più complessi. La nostra idea è stata quella di fondere l’accesso infrapubico, usato per la protesi peniena, con quello perineale, usato per lo sfintere, in un’unica strategia operativa che consente di impiantare entrambi i dispositivi nello stesso intervento, in modo più efficiente, più sicuro e meno traumatico.
Abbiamo chiamato questa tecnica AUSTA 1500, un nome che rende omaggio alla nostra città, Aosta, e che richiama i codici dei dispositivi impiantati: il 700 della protesi peniena e l’800 dello sfintere artificiale. Un nome che unisce, come la tecnica stessa, due strumenti in un solo gesto chirurgico. Nei primi sei pazienti in cui abbiamo utilizzato questa procedura, i risultati sono stati molto promettenti. Quattro di loro hanno ritrovato una piena continenza urinaria e una soddisfacente vita sessuale, elementi fondamentali per la qualità della vita e per il benessere psicologico. Gli altri due pazienti hanno avuto complicazioni, come spesso accade nella chirurgia complessa, ma uno di questi era un caso molto particolare: un paziente fragile, con lupus, una storia di ictus e trombosi, in terapia con anticoagulanti. Sapevamo che il rischio era alto, ma anche in questo caso il percorso è stato condiviso e trasparente, perché riteniamo che la prima forma di rispetto per il paziente sia la chiarezza.
La forza di questa tecnica non sta solo nei numeri, ma nel cambiamento di prospettiva che propone: una chirurgia più intelligente, più ragionata, che cerca di risparmiare al paziente sofferenze inutili, di ridurre il trauma e di accelerare il ritorno alla vita normale. Non abbiamo usato drenaggi, le incisioni sono state minime, e i tempi operatori sono stati contenuti. È questo il tipo di innovazione che ci piace: quella che parte dal letto del paziente e arriva fino ai congressi internazionali, non per vanità ma per condivisione, perché riteniamo che ciò che funziona bene ad Aosta possa essere utile anche altrove.
La seconda tecnica che abbiamo presentato nasce invece da un problema concreto che spesso ci troviamo ad affrontare: quando un paziente ha subito molte operazioni all’addome, lo spazio tradizionale dove di solito si colloca il serbatoio di un dispositivo, il cosiddetto spazio di Retzius, può essere compromesso. Il rischio di lesionare intestino o vasi sanguigni è alto, e serve una soluzione alternativa. Così abbiamo pensato di utilizzare uno spazio che di solito non viene toccato dalla chirurgia: la loggia renale, cioè la zona che circonda il rene. In questa sede abbiamo posizionato il serbatoio di un nuovo sfintere artificiale e, nel caso specifico, anche quello di una nuova protesi peniena, in un paziente complesso che aveva subito l’asportazione della vescica, la creazione di una neovescica e un precedente impianto protesico andato male.
Anche in questo caso, la soluzione si è rivelata efficace. L’intervento è stato eseguito senza complicazioni, il paziente ha ripreso rapidamente a camminare e a urinare, è stato dimesso dopo pochi giorni e, a distanza di alcune settimane, ha ritrovato una piena continenza e ha potuto riprendere una vita sessuale attiva. I vantaggi di questa tecnica sono molti: la loggia renale è una zona “vergine”, cioè non toccata da precedenti interventi, quindi più sicura. Non è influenzata dalla pressione addominale, e in caso di futuri interventi chirurgici sull’addome, il serbatoio resterà comunque al sicuro. Inoltre, la tecnica è relativamente semplice da eseguire, veloce, e richiede solo delle piccole modifiche rispetto alla chirurgia tradizionale. Certo, ha anche dei limiti: in pazienti molto magri, i tubi possono essere visibili, e può essere necessario utilizzare un kit accessorio, con un piccolo aumento dei costi. Ma il bilancio complessivo è estremamente positivo.
Quello che ci ha colpito, a Washington, è stato il grande interesse che queste due tecniche hanno suscitato. In tanti si sono avvicinati al nostro poster per chiederci dettagli, per capire come riprodurle nei loro centri, per condividere esperienze. E questo ci ha confermato che, anche da una piccola realtà come Aosta, si possono proporre soluzioni che parlano una lingua universale: quella della medicina fatta bene, con rigore, passione e creatività. Non è la dimensione dell’ospedale che fa la differenza, ma la qualità delle persone che ci lavorano e la capacità di ascoltare i pazienti, di mettersi in discussione, di migliorare giorno dopo giorno.
Per noi è stato motivo di grande orgoglio portare il nome della nostra regione in un contesto così prestigioso. Ma non è stato un traguardo: è solo un passaggio. Il nostro obiettivo ora è quello di continuare a studiare, a raccogliere dati, a seguire i pazienti nel tempo per validare queste tecniche su numeri più ampi. Vogliamo anche formare altri colleghi, condividere ciò che abbiamo imparato, aprire le porte ad altre collaborazioni. L’innovazione, per noi, non è un esercizio di stile, ma un dovere verso chi si affida alle nostre mani e si aspetta il meglio.
In fondo, il nostro mestiere è proprio questo: dare soluzioni, restituire dignità, permettere alle persone di tornare a vivere con serenità. E se tutto questo può partire da Aosta ed essere raccontato a Washington, allora significa che stiamo andando nella direzione giusta.